sabato 7 marzo 2009

Riflessioni su "Coltivare le connessioni"


Ho letto "Coltivare le connessioni" di Andreas Forniconi e ieri sera ho partecipato all'incontro sincrono . Piacevole l'incontro di ieri sera e più interessante la "riflessione" che ha suscitato in me il pamphlet su "coltivare le connessioni"! Che bravo nonno che ha avuto , Andres! "Tutte le cose vive parlano" ...mi riaffiorava alla mente l'esempio di mio padre, la sua disponibilità all'ascolto, il suo tempo impiegato a giocare con noi:giocare? ...o era il nostro principale "maestro"? Quante cose ho appreso direttamente da lui, dal vederlo operare ma, soprattutto dal "fare con lui"! Mi ha colpito la tua frase: "la famiglia non educa più, appalta l'educazione ad altri e gestisce la giornata dei figli" Quanto sono vere , purtroppo, queste affermazioni! Come docente, constato ogni giorno tutto ciò, nel senso di "deresponsablilità educativa" del ruolo genitoriale. Genitori che "vanno e vengono" che "prendono e lasciano": dalla scuola alla palestra, a danza al calcetto...! Bambini impegnatissimi, stressati che ....sono stanchi di correre! Distratti in una scuola che, spesso(per fortuna qualche esempio positivo c'è!) non aiuta a trovare il proprio percorso per conoscere il bosco, che non "fa coltivare con amore e pazienza il proprio giardino delle connessioni" Andreas, ha usato la metafora del "Mezzadro" che "non doveva mai perdere di vista l'insieme..." e il suo ruolo di "uomo di grande competenza e versatilità" e mi è venuta in mente la "figura del Servo/padrone" di Hegel. Il servo, obbligato a lavorare per il padrone, sembra condannato ad un’eterna condizione di inferiorità e di sudditanza. In realtà il servo diviene gradualmente una figura dominante perché, nell’esperienza del lavoro, acquisisce tutta una serie di cognizioni e tecniche che lo arricchiscono e lo fortificano: il lavoro forma. Si apre, così, per il servo, la possibilità di affrancarsi, ma anche di prevalere sul padrone di ieri. Mediante il lavoro la soggettività diventa forma della cosa, diviene consapevolezza nel momento in cui il soggetto si riconosce nell’oggetto trasformato. Questo processo rimane estraneo al signore per il quale la cosa non è oggettivazione e momento per giungere all’autocoscienza, ma qualcosa di estraneo di cui ha solo il godimento, senza stabilire con essa un rapporto dialettico. Non è forse appartenente alla mentalità del " terziario" il nostro "padrone"? Penso che la rete possa aiutarci a uscirne fuori, dipende da noi, dalle "nostre connessioni" come Andreas ci stimola a riflettere! Con i ragazzi della mia classe, avendo a disposizione un po' di giardino attorno alla scuola, abbiamo costruito un orto e per costruirlo ci siamo avvalsi delle azioni/consigli di due nonni( hanno lavorato con i ragazzi!): avessi visto che esperienza emozionante per i nostri alunni/contadini, che zappando il terreno, posizionando il solco, ...sudando hanno affermato:"ma è faticoso il lavoro del contadino!" Anche mettersi nei panni dell'altro, assumere ruoli è importante! Più importante, comunque, avere il controllo di ciò che avviene nell'orto , delle variabili, e "prendersene cura"! Come stanno curando bene il "loro orto " i nostri ragazzi, e quante connessioni, concetti che si connettono , scattano in una semplice attività che per alcuni docenti può sembrare "non importante"!

2 commenti:

  1. "La terra è bassa!" cioè per cavarne qualcosa bisogna piegarsi e abbassarsi. Questa cosa che mi hanno sempre insegnato i contadini, le mie nonne, ed ho vissuto io nelle mie poche esperienze bucoliche di lavoro nei campi, mi ha insegnato ad essere umile per avere qualcosa in generale. "La terra è sporca!" altra cosa molto importante che non insegna più nessuno (anzi semmai ora siamo tutti iperigenizzati, tutti incellofanati per preservare la purezza e l'igiene) che ti obbliga a sporcarti le mani, a non aver paura di mettersi in dubbio nel mettersi in gioco, a doversi "pulire" dopo... dopo una qualunque esperienza di vita, che la pulizia la dovrebbe vedere a livello interiore. Questo tipo di educazione prima passava in modo automatico come respirare, si stava con i familiari a lavorare nel campo o con gli animali e si imparava di riflesso. Oggi un bambino preso a caso in una classe è difficile che sappia descrivere una mucca, ma sa giocare benissimo con il Nintendo, ha dei riflessi più ponti di quelli di un grillo. I programmi ministeriali non aiutano e mi sembra che il tutto sia lasciato al buon cuore o all'iniziativa delle insegnanti che si prestano e si dedicano con amore a progetti come l'orto di cui ci hai parlato. Finchè rimane tutto così avremo "classi di eccellenza" e "classi di ristagno" e non si potrà mai parlare di vera istruzione, a nessun livello, nè elementare nè universitario. Ci si impegna come bestie per fare del buono ognuno nel proprio piccolo e questo è tanto, ma bisognerebbe convincere le alte sfere a ripensare i programmi in modo di fare meno, fare meglio e soprattutto fare SOLO il necessario, quello che serve a raggiungere non la sufficienza ma la AUTOSUFFICIENZA CULTURALE!

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  2. Nella mia lunga esperienza scolastica, travolta da continue riforme dei programmi della scuola "elementare, primaria..."(è sempre lei l'oggetto delle riforme!) ho sempre pensato che da ogni riforma, da qualsiasi parte politica essa arrivi ( ogni governo riforma la scuola ...) bisogna sempre cogliere quegli elementi positivi che essa apporta e "ritenerli" anche dopo, nell'ottica della libertà dell'isegnamento. Nella scorsa riforma "Moratti" un elemento positivo era quello di porre maggior rilievo alla "ESPERIENZA" . Io lo ritenevo molto valido , forse perchè sono una docente di sostegno e faccio della ESPERIENZA, la base di partenza di ogni apprendimento, il mediatore didattico necessario per "imparare facendo"! Purtroppo , oggi, cambiano spesso le mode, le riforme e sempre più si plaude a quelle meno faticose, che non ti dicono nulla, che non ti chiedono nulla e così...tutto è più semplice!
    Condivido le tue riflessioni "egocentricamente" e spero che qualcosa cambi , che i nostri alunni che hanno diritto ad una "formazione" e non ad una "istruzione" raggiungano la AUTOSUFFICIENZA CULTURALE.

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